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Frattura dell’omero

Domanda:

Mia mamma, donna di 76 anni, ha subito una frattura dell'omero. Come è meglio intervenire?

Risposta:

Chi di noi non ha mai assistito (o affrontato in prima persona) a una caduta a terra con un forte colpo ai danni della spalla? È facile immaginare che siano in pochi a poter rispondere negativamente. Proprio per tale motivo, oggi si vuole trattare il doloroso problema della frattura dell’omero che colpisce ad oggi 1 persona su 1000, soprattutto il sesso femminile nella fascia di età 60-90 anni e che rappresenta in generale il 5% delle fratture.

In primo luogo, è bene individuare brevemente quest’area e la sua anatomia: l’articolazione della spalla è costituita da 3 ossa, omero, clavicola e scapola che sono fra loro connesse tramite muscoli, tendini e legamenti. L’omero è l’osso lungo che va dalla spalla al gomito e che costituisce lo scheletro del braccio.

Questa descrizione, per quanto molto sommaria, ci fa comunque comprendere la complessità dell’articolazione della spalla, la cui caratteristica principale è la libertà di movimento quasi totale che consente a ognuno di noi di muovere il braccio in quasi tutti i punti dello spazio.

Come si accennava all’inizio, il meccanismo traumatico che può causare una frattura all’omero è dato da una forza impattante che viene trasferita proprio all’omero con un’intensità maggiore rispetto alle sue capacità di tolleranza. Pertanto già una semplice caduta, che spesso avviene col gomito in estensione, può arrecare il danno suddetto; in aggiunta a ciò, occorre citare per i giovani e gli sportivi i traumi sportivi o violenti. Nel caso in cui uno di questi eventi si verifichi, e in presenza di alcuni sintomi quali un dolore intenso, un’ impotenza funzionale con limitazione nei movimenti, oltre che alla riduzione della forza muscolare, è bene rivolgersi immediatamente a un ortopedico che potrà valutare la situazione, magari tramite una Rx oppure una tac (questa soprattutto nel caso si prospetti una protesi). Qualora la frattura venisse confermata, occorre mettersi subito all’opera per poter recuperare una buona condizione clinica, e ciò è possibile solo passando attraverso 3 distinti stadi: una fase infiammatoria, una fase riparativa e, in ultimo, una fase di rimodellamento.

A questo punto e come spesso diciamo, entra in gioco il ruolo fondamentale della fisioterapia che, a seconda della gravità del caso e dalle condizioni del paziente, dovrà stilare un programma di riabilitazione ad hoc. In linea generale, è possibile affermare che la durata dei trattamenti può variare fra le 4 e le 12 settimane. In fase iniziale, la fisioterapia si incentra sull’eliminazione del dolore attraverso mezzi quali la tecarterapia e la tens e, in alcuni casi, può rivelarsi utile la idrokinesiterapia che sfrutta il contatto dei muscoli con l’acqua calda per migliorarne la mobilità.

Nella seconda fase, definibile come intermedia, il focus verte sull’aumento della mobilità dell’arto, così che il braccio possa tornare a una completa funzionalità. Una volta che la frattura è del tutto consolidata, è molto importante aggiungere degli esercizi di stretching, unitamente a tecniche di riabilitazione manuale con massaggi mirati, in modo da ottimizzare la funzionalità della spalla. Infine, l’ultimo passo per una definitiva guarigione prevede alcune manovre fisiche da parte del fisioterapista, con l’obiettivo finale di raggiungere l’elasticità delle fibre muscolari, la forza del movimento, la fluidità e la resistenza delle azioni motorie, il tutto da praticare ovviamente sempre in assenza di dolore