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Protesi di spalla

Domanda:

Spalla, quali trattamenti in caso di artrosi?

Risposta:

Volendo proseguire con la linea tematica degli ultimi articoli sulle protesi agli arti, ci concentreremo oggi sulla spalla.

In primo luogo, per comprendere bene le dinamiche, sarà utile fare una breve panoramica sulla composizione anatomica della spalla stessa. Questa si compone di due ossa: l’omero, di forma sferica, e la glena (parte della scapola), che invece è una superficie piana. Com’è facile immaginare, una sfera che poggia su una superficie piana ha un’enorme libertà di movimento (non a caso ognuno di noi può compiere movimenti ampissimi con la propria spalla) e purtroppo anche una certa instabilità dal punto di vista osseo. Gli elementi che “vincolano” la spalla e la stabilizzano sono i legamenti e la capsula articolare da un lato, e i tendini della cuffia dei rotatori dall’altro. Lo scopo di queste strutture è quello di mantenere stabile la testa omerale al centro della glena quando il muscolo deltoide, principale esecutore del movimento, si attiva per sollevare la spalla.

protesi di spalla

protesi di spalla

Fin qui sembrerebbe essere tutto perfettamente funzionante, ma purtroppo le cose non filano sempre lisce e senza intoppi: è quello che accade con l’artrosi, cioè la perdita del normale rivestimento liscio delle articolazioni che si chiama cartilagine. La cartilagine è un tessuto regolare e ammortizzante che riveste l’osso in modo da consentire il movimento tra le articolazioni. Al contrario del tessuto osseo, la cartilagine non è né innervatavascolarizzata e proprio questo determina il fatto che il movimento della spalla avvenga senza dolore. Quando però, per varie cause, la cartilagine si assottiglia al punto di non funzionare più, si parla di artrosi, e poiché l’osso sotto alla cartilagine rimane scoperto ed è innervato, il sintomo principale dell’artrosi è il dolore.

Nei casi in cui il dolore alla spalla è ineliminabile tramite trattamenti e terapie conservative, bisogna ricorrere a un intervento di protesi di spalla. Si tratta, ovviamente, di una pratica meno comune rispetto alla già citata sostituzione del ginocchio o dell’anca, ma è certamente altrettanto efficace nell’alleviare il dolore articolare. Come si è detto, la causa principale è sicuramente l’artrosi, ma possono concorrere anche gravi fratture, la necrosi vascolare e l’artrite reumatoide. In tutti questi casi, il chirurgo, a seguito di approfonditi esami e valutazioni, può decidere di optare per una protesi.

Non ci interessa ora scendere eccessivamente nei dettagli tecnici e nei tipi di interventi chirurgici, ciò che è invece di grande rilevanza è il trattamento riabilitativo post-operatorio, che non a caso nel paziente operato di artroprotesi di spalla inizia già 48 ore dopo l’intervento, cioè dopo la rimozione dei drenaggi.

Innanzitutto, il decorso post-operatorio di una protesi di spalla è caratterizzato per tutti i tipi di impianto dal mantenimento di un tutore di spalla per circa un mese e quest’ultimo può essere tolto soltanto per pochissimi momenti della giornata, ad esempio per facilitare le cure igieniche della persona e durante la seduta di fisioterapia. Dopo l’intervento di protesi, comunque, e per parecchie settimane, la zona della spalla sarà calda e dolorante, ma questo è normale. Anche la quantità di peso che si potrà usare usando il braccio operato sarà molto limitata, tanto che il medico può consigliare di non sollevare nulla che pesi più di un bicchiere d’acqua per le prime 4-6 settimane.

In sintesi, il percorso riabilitativo potrebbe essere così riassunto:

durante la prima settimana sono consentiti solo movimenti passivi di flesso-estensione della spalla e minimi movimenti di rotazione interna, mentre vanno assolutamente evitati movimenti in abduzione e rotazione esterna con la spalla in flessione. Dalla seconda settimana si introducono movimenti in rotazione esterna per escursioni limitate a 15-20° e comunque con il gomito vicino al fianco. Nei giorni successivi, il trattamento va avanti incrementando l’escursione della flesso-estensione sia passivamente sia con esercizi attivi, prosegue il recupero dell’articolarità e si introducono esercizi di rinforzo muscolare.

Parte quindi la seconda fase (3-6 settimane) del potenziamento iniziale, in cui si ricerca il controllo del dolore e il graduale ripristino del movimento attivo; si prosegue con la terza fase (6-12 settimane) del potenziamento moderato e infine con la quarta (e ultima) fase di potenziamento avanzato (12 settimane – 6 mesi) nella quale il paziente torna ad attività funzionali avanzate e raggiunge la massima forza, resistenza e potenza muscolare. Superati i 6 mesi dall’intervento è possibile tornare alle proprie attività ricreative, facendo ovviamente sempre attenzione ed evitando situazioni a forte impatto/traumatiche come ad esempio gli sport da contatto.